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Ti posso spiare se è in pericolo la salute collettiva?

la privacy e il coronavirus
Tempo di lettura - 3 minuti

In questi giorni ci si interroga se si può rivelare o meno l’identità delle persone contagiate e si guarda alle grandi potenze hi-tech per vedere quali modelli e tecnologie stanno mettendo in campo per evitare la diffusione del coravirus.

La Repubblica Popolare ha messo in campo droni, tracciabilità delle persone, robot e riconoscimento facciale.

Seul ha messo a punto una app (Corona 100m) che traccia gli spostamenti delle persone risultate positive, i luoghi da loro frequentati e le aree a maggior contagio, così che i cittadini possano evitare di circolare in zone considerate più a rischio. Sostanzialmente si rendono pubblici i movimenti e le transazioni dei cittadini affetti da coronavirus tramite tecnologia GPS e telecamere di sorveglianza.

Anche Israele ha messo in campo la tecnologia per combattere la diffusione. Netanyahu infatti ha dato il permesso ai servizi segreti di usare i dati dei cellulari dei cittadini per controllare i loro spostamenti.

Modelli e tecnologie guardati con attenzione non solo dai Paesi europei ma anche dagli Stati Uniti, e soprattutto dai cittadini che da subito hanno manifestato perplessità sul rispetto della privacy.

La parola ad un esperto di diritto digitale

Lo spionaggio a tappeto dei contagiati con tracciamento dei cellulari e riconoscimenti facciali, sul modello adottato dalla Corea del Sud per evitare la diffusione del coronavirus non calpesterebbe necessariamente i diritti dei cittadini, perchè anche in Europa quello della protezione dei dati personali non è un diritto assoluto, bensì va bilanciato con gli altri diritti fondamentali e in questo caso con quello alla salute, non solo individuale, ma collettiva.

L’attuale regolamento europeo, il 2016/679 GDPR, prevede la difesa del diritto fondamentale dell’individuo alla protezione dei dati personali, un diritto che possiamo ritenere oggi indirettamente garantito anche dalla Costituzione, che però stabilisce non solo la protezione, ma anche l’adeguata circolazione dei nostri dati personali. Se c’è un’emergenza eccezionale come quella che si vive oggi si entra nella sfera del diritto alla salute che è altrettanto fondamentale. Quindi in ipotesi eccezionali più Stati europei potrebbero in qualche modo ridimensionare il diritto alla protezione dei dati favorendo la circolazione di alcuni dati con delle forme di controllo e garanzia, bilanciandolo così con queste esigenze eccezionali di tutela della salute pubblica.

Avv. Andrea Lisi, esperto di diritto digitale e presidente di Anorc Professioni, durante un’intervista alla Dire

Su cosa lavorare

Per fare una cosa del genere sarebbe opportuno lavorare su una normativa europea specifica e di emergenza che operi quel bilanciamento tra i due diritti, cioè il diritto alla cosiddetta privacy e il diritto fondamentale alla salute, che potrebbe avere un enorme giovamento nel caso odierno grazie alla verifica degli spostamenti, dei contatti tra persone infette. È chiaro che bisognerebbe stabilire i tempi precisi di questo tracciamento, le modalità, le procedure di sicurezza per garantire che soltanto alcuni specifici autorizzati possano accedere a quei dati e fino a che punto quei dati possono essere esposti senza essere previamente pseudoanonimizzati o anonimizzati. Quindi non possiamo pensare in Europa ad arrivare un controllo generalizzato e pervasivo dei cittadini, pur giustificato dall’emergenza, ma ad un equo bilanciamento tra i diversi diritti in gioco, determinando tempi e modi certi di questa forma di tracciamento e confermandone l’eccezionalità e le dovute garanzie.

Anche i padri del diritto alla protezione dei dati come Stefano Rodotà e Giovanni Buttarelli non hanno mai pensato al diritto alla privacy come a un diritto assoluto, ricordiamocelo. Oggi stiamo combattendo una guerra e quindi alcune garanzie individuali possono essere compresse, come è stato del resto con la libertà di muoversi.

Avv. Andrea Lisi, esperto di diritto digitale e presidente di Anorc Professioni, durante un’intervista alla Dire

In conclusione

Mi trovo d’accordo con l’Avv. Lisi quando afferma che occorre lavorare su una normativa europea specifica e di emergenza che operi quel bilanciamento tra i due diritti.
Resto comunque con le mie perplessità in merito alla “capacità” dei Governi di raccogliere i nostri dati personali limitatamente ai momenti di emergenza in cui un altro diritto inviolabile fosse in pericolo, soprattutto se per realizzare certe tecnologie si rendessero necessari degli esborsi economici rilevanti.

La soluzione non è mai né semplice né una sola.

Cosa è certo è che siamo in una situazione difficile dove si intrecciano tanti interessi confliggenti.

Punto di partenza, superata l’emergenza, per un fervido dibattito.

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Antonella Bruzzone

Antonella Bruzzone

Founder del blog ConsapevolMente Connessi, Ingegnere Informatico appassionata di CyberSecurity approdata da qualche anno al Coaching. Un mix di competenze che sa farmi apprezzare le opportunità offerte dalla trasformazione digitale in cui viviamo, ben consapevole dei rischi insiti in essa. Perché la onlife è come un salto con lo skateboard: potresti cadere, lo sai, ma è altrettanto vero che, con la giusta guida, potresti imparare a chiudere i trick più difficili.

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