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Revenge porn: considerazioni socio-pedagogiche

revenge porn
Tempo di lettura - 5 minuti

Il revenge porn, detto anche vendetta con il porno, è un modo meschino e molto pericoloso di vendicarsi di una persona.

Fortunatamente è riconosciuto come reato penale (Legge 19 luglio 2019, n. 69, entrata in vigore il 9 agosto successivo e meglio conosciuta come “Codice rosso”) e rientra nel più ampio cyberbullismo.

Anche i social hanno dovuto aderire al bisogno di controllo del fenomeno e così, rispetto al passato, non è più così semplice o scontato pubblicare foto intime né così difficile ottenerne la rimozione.

Ma questo come sappiamo non basta. Purtroppo foto o video possono essere diffuse anche in più ondate temporali, ed è sufficiente che ne esista una copia per poter essere di nuovo condivise e diffuse.

Una possibilità che crea ovviamente ansia, paura, insicurezza.

Revenge porn: le vittime

Le storie delle vittime di revenge porn sono di donne, in maggioranza, che per via di un legame o di una conoscenza – reale o virtuale – si sono lasciate convincere a inviare una foto o un video realizzati in stato di nudità o durante atti sessuali.

Finita la storia o chiuso il contatto hanno avuto l’amara sorpresa di essere ovunque rintracciabili sul web con quelle foto o quei video.

Esemplare è la storia di Tiziana Cantone, la prima vittima riconosciuta di revenge porn.

Tiziana aveva girato alcuni video porno amatoriali, poi da lei stessa diffusi via Whatsapp.

Purtroppo grazie ad una battuta da lei stessa pronunciata, oltre alla viralità dei video sul web, si verificò una campagna mediatica di scherno e dileggio, addirittura con la produzione di t-shirt con la stampa della frase divenuta ormai famosa.

Tiziana intraprese allora un’azione legale per la rimozione del materiale dal web, scoprendo la difficoltà e in alcuni casi l’impossibilità della rimozione stessa.

Non solo: per un errore procedurale venne condannata al pagamento di spese per circa 20.000€.

Nel frattempo Tiziana, ormai famosa per quello che la faceva vergognare, perso il lavoro e tentato di far perdere le sue tracce senza riuscirci, pose fine alla sua vita suicidandosi nel 2016 a 33 anni.

Altre storie simili si sono verificate in questi cinque anni.

Una è quella di Alice, pseudonimo scelto dalla protagonista che dice di vivere “nel paese delle meraviglie”.

Alice è bellissima, come Tiziana, realizzata nel lavoro, ha famiglia.

Gira un video porno e dopo qualche tempo, senza averlo mai inviato ad alcuno, lo ritrova virale sul web.

Avvisata da una persona amica, si reca presso il posto di polizia per sporgere denuncia e scopre di essere nota agli stessi poliziotti per quel video.

A questo punto si affida ad un legale con cui inizia un’indagine privata, oltre alla denuncia presentata, per scoprire i responsabili, scoprendo che il video è diventato virale in tutto il mondo, cosa che ne rende molto complicata la rimozione.

Alice è una donna piena di grinta, che indubbiamente aiuta ad affrontare le conseguenze di un evento assai complesso e dalle conseguenze nefaste.

Infatti coloro i quali hanno diffuso quel video hanno trovato i suoi riferimenti personali sui social e ricavato così la sua identità, indirizzo e numero di telefono, arrivando a perseguitarla da vicino e andando a bussare a casa sua.

Altre storie di vittime di revenge porn sono più limitate nelle conseguenze ma tutte accompagnate da vergogna e paura.

E soprattutto, nei casi dei giovanissimi, sono contraddistinte da un eccesso di ingenuità (“lui/lei non mi farà mai del male”) o di fiducia.

Storie diverse, elementi comuni

Cosa spinge in realtà ad affidare una propria immagine intima ad un altro?

Leggendo alcune storie questi sono gli elementi su cui riflettere:

  • nella maggioranza dei casi l’immagine (foto o video) è stata richiesta dall’interlocutore durante un incontro o un approccio:
  • in rari casi alla richiesta è stato associato il ricatto (“se non mi mandi una foto nuova renderò pubbliche tutte le altre” oppure “se non fai questo per me chiudiamo qui la storia”), arrivando a richieste di denaro (fenomeno conosciuto come sextortion);
  • tutte le vicende sono accompagnate da una forma di fiducia e di ingenuità;
  • nei casi di donne adulte, esse stesse si interrogano sul motivo che le ha condotte a girare un video o scattare foto intime che le hanno messe in pericolo.

Revenge porn: come difendersi

Da questi elementi è possibile elaborare linee guida per un intervento informativo ed educativo.

  • MAI ONLINE. Soprattutto ai giovanissimi bisogna far capire che, ora non siamo più in lockdown e che ci si può incontrare dal vivo, non si è più obbligati alle relazioni virtuali. Ma se anche si dovesse continuare ad avere una relazione virtuale, non è consigliabile scattare selfie intimi da inviare all’altro, soprattutto se l’altro è una conoscenza recente. Diffidare comunque dalle richieste, sottrarsi alle pressioni psicologiche, sono due imperativi. L’altro imperativo, categorico, è diffidare sempre. Soprattutto online, ma anche dal vivo.
  • ESSERE SEXY È DAVVERO IMPORTANTE? La maggior parte delle ragazze e delle donne che si sono lasciate tentare dall’idea di girare un video porno lo hanno fatto per sentirsi sexy, desiderabili. Ma perché l’essere attraenti deve coincidere con lo stereotipo femminile portato dall’industria del porno? Anche nel caso in cui si abbia un fisico prorompente ed una forte carica erotica, per quale motivo bisogna confinare la propria femminilità nell’immaginario maschile che vorrebbe tutte le donne col tacco dodici, le autoreggenti e i completini di pizzo nero?

Revenge porn e giudizio

Una riflessione sulla femminilità e sui modi di essere donna dovrebbe essere ormai prioritaria e non legata alle cronache.

Ancora più importante sarebbe questa coscienza diffusa quando dal web e dalle discussioni nelle chat emerge chiaro il giudizio riguardo le vittime di revenge porn, di cui si pensa che in fondo se la sono cercata.

La stessa cosa si diceva qualche decennio fa delle vittime di stupro.

Se l’erano cercata perchè andavano in giro da sole di sera. O di mattina o di pomeriggio, è lo stesso.

Se l’erano cercata perchè indossavano un vestito o una minigonna ma vabbè anche i jeans attillati sono provocanti.

Di recente il sistema giudiziario italiano è stato criticato dall’Unione Europea proprio per “processare” le vittime di stupro anziché i colpevoli.

Il revenge porn insomma è uno dei modi con cui si fa del male alle donne. A volte bambine.

È vero che c’è anche qualche maschio vittima di revenge porn, ma è nella statistica come tutti gli altri reati femminili, che sono il 10% del totale.

La donna che accetta di inviare foto intime o di girare un video hard in un certo senso si consegna al maschio destinatario di quell’intimità.

Nel momento in cui quella relazione – non importa la durata – finisce, automaticamente diventa la donnaccia da punire.

È un meccanismo perverso del più bieco patriarcato maschilista, da cui tutti, maschi e femmine, devono difendersi e che devono saper individuare.

Da questo compito nessuno può chiamarsi fuori: la psicologia del profondo ci ha infatti insegnato che abbiamo introiettato categorie di giudizio dai nostri educatori, di cui spesso non siamo consapevoli.

Queste le domande che dovremmo porci:

  • Riguardo al sesso, perché quando lo pratica il maschio è visto positivamente mentre la femmina è una donnaccia? Siamo in accordo o in disaccordo con questo enunciato?
  • Cosa significa concretamente avere rispetto dell’altro?
  • Perchè se una persona chiude una relazione può essere perseguitata e punita?
  • Quando una donna può essere definita sensuale? Dipende da quello che indossa o la sensualità è una caratteristica personale?

Sono le domande di base, strettamente correlate al fenomeno del revenge porn, che dovrebbero però essere allargate all’intero paradigma culturale del maschile e del femminile.

Abbiamo a che fare ancora con un fortissimo svantaggio del femminile in tutti i campi, dalla famiglia al lavoro, dalla professione alla retribuzione.

Voglio ricordare che la prevenzione di ogni forma di violenza sulle donne ed i minori è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU, fatta propria dall’Unione Europea e caposaldo della Convenzione di Istanbul, che infatti è messa in questi giorni in discussione grazie alla decisione della Turchia che ha deciso di cancellare la propria adesione, ed alla quale comunque non tutti i paesi hanno voluto aderire.

E parliamo anche di Stati Europei.

Il dominio del patriarcato, una forza culturale trasversale e comune in tutto il mondo, non cede il passo né gli spazi. Bisogna conquistarli.

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Rossella Catalano

Rossella Catalano

Sociologa nel midollo, criminologa per passione. Ma anche orientatrice, formatrice, docente di storia, filosofia e psicologia. Fondatrice e presidente onorario di OSC Osservatorio sulla criminalità Onlus, una associazione no profit in vita dal 1999 attiva nella devianza e criminalità che opera nel supporto al trattamento penitenziario e nella prevenzione del disagio minorile nelle scuole. Scrittrice? Non so, anche se scrivere è la mia passione da sempre. Tutto questo tuttavia non basta a definirmi: mi sembrano più importanti le qualità umane delle “cose” fatte. Ad oggi, il mio più grande desiderio è restituire ciò che ho ricevuto, dopo aver trasformato ciò che mi ha fatto soffrire in un insegnamento che può essere prezioso anche per gli altri.

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