Con la prima parte dell’intervista all’autore, Stefano Rossi, abbiamo appreso strumenti utili per educare esploratori coraggiosi e ci siamo salutati avendo compreso l’importanza di crescere cittadini dotati di menti critiche e cuori intelligenti: le prime per imparare a interrogarsi continuamente, i secondi per non rimanere indifferenti alle sofferenze e alle ingiustizie.
A tal fine, anche nell’affrontare l’educazione digitale, è indispensabile prevedere l’educazione emotiva, un’educazione che tratti i temi della paura, della rabbia, del coraggio, della prudenza, della saggezza etc
Il libro “Menti critiche, cuori intelligenti” vuole proprio rispondere a questa necessità e lo fa avvalendosi del potere delle storie, ottimo punto di partenza per un confronto aperto e sincero con bambini e ragazzi basato su domande in grado di aprire il pensiero.
Ecco dunque 40 storie, venti che trattano i temi del cuore (come la resilienza, la grinta, il desiderio, l’empatia) e altre venti utili ad allenare una mente critica affrontando temi quali il bullismo, il male banale, i meccanismi del conformismo, l’agenda 2030 etc.
Ma tutti questi insegnamenti come possiamo applicarli alla vita online? Lo stesso Stefano, in questa intervista, ci espone il suo punto di vista.
Le stelle che orientano il tuo percorso didattico sono le emozioni. In che modo queste vengono mediate dallo schermo?
Io uso una battuta dicendo che lo schermo ci rende tutti sociopatici.
Come quei serial killer che vediamo nei telefilm, che hanno un cuore che non sente, che non provano empatia.
Spesso lo schermo è in realtà una barriera: nel momento in cui, ad esempio, offendo una persona su Instagram oppure offendo un amico su WhatsApp, non vedendo il volto, non provo empatia.
L’empatia del resto reagisce allo sguardo: se io ti offendo di persona vedo un alone di tristezza o di rabbia nel tuo sguardo e questa cosa un po’ nel mio cuore ha una risonanza.
Nello schermo invece l’unica risonanza è il mio sguardo quindi non vedendo lo sguardo dell’altro rischio di avere una comunicazione molto più violenta, molto più dura.
In questo caso faccio ragionare i ragazzi sull’importanza della gentilezza, una parola che oggi a molti sembra anacronistica.
Anche in questo caso racconto una storia, questa volta non mia se non nel finale.
La storia parla di un bambino, chiamiamolo Tommy, che usa le parole in maniera molto aggressiva.
Un giorno il nonno, per farlo riflettere, gli si siede accanto ma presto capisce che Tommy non si rende conto della gravità e della potenza delle sue parole.
Il nonno chiede allora a Tommy di rivedersi dopo una settimana e nel frattempo, al termine di ogni giornata, di ripensare alle volte che ha usato le parole per ferire qualcuno.

Se lo ha fatto, Tommy dovrà raggiungere la staccionata del nonno e conficcare con un martello un chiodo per ogni persona che ha offeso.
Tommy, pur non capendo il senso dell’esercizio, ogni giorno si reca alla staccionata.
Il primo giorno conficca tre chiodi, il secondo quattro e così via. Al termine della settimana ha conficcato una dozzina di chiodi.
Tommy torna dal nonno e continua a non capire la gravità di quelle azioni (“vabbè ne ho piantati 12 mica 50”, dirà al nonno).
Il nonno allora gli chiede di estrarre ogni chiodo e dirgli cosa vede. Tommy vedendo i buchi resta senza parole.
Così facendo il nonno ha fatto capire a Tommy che le parole possono essere parole chiodate, che noi lanciamo e conficchiamo nel cuore dell’altro per poi non pensarci più. Ma anche quando estraiamo il chiodo, il buco nel cuore rimane.
A questa storia ho aggiunto un pezzetto.
Il nonno propone a Tommy di rimediare, di provare a chiarire con ciascuna delle persone che ha ferito. Per chi accetterà le scuse, Tommy dovrà mettere un fiore nel buco della staccionata.
La storia si conclude con Tommy che invita i suoi amici a una festa celebrativa di quello che ha imparato:
Le parole possono essere chiodi, e lasciare buchi profondi, oppure essere fiori, carezze per il cuore dell’altro
A partire da questa semplice storia sarà possibile iniziare il confronto con i bambini e i ragazzi per farli ragionare, oltre che sulle parole, su quei gesti che online possono diventare dei chiodi, sul perché li utilizziamo.
In questi ultimi mesi abbiamo assistito a un aumento di episodi di cyberbullismo nei periodi di DaD. Secondo te per quale motivo e in che modo possiamo stare accanto ai nostri ragazzi?
Oltre all’effetto barriera legato allo schermo di cui abbiamo appena parlato, credo ci sia un altro tema.
Online paradossalmente la comunicazione, non solo tra ragazzi ma anche tra adulti, e spesso brutale.
La mia tesi è che online abbiamo l’illusione di essere a contatto con l’alterità del mondo ma molto spesso, come tutti sappiamo, siamo in una bolla dell’uguale.
Il filosofo Byung-Chul Han, uno dei più interessanti filosofi contemporanei, dice che online noi viviamo l’espulsione dell’alterità.
Il problema è che quando usciamo dalle bolle, molti di noi non sono più capaci di stare a contatto con l’alterità dell’altro.
Ecco così che quando l’altro non la pensa come noi la comunicazione diventa aggressiva.
C’è dunque anche la responsabilità degli adulti.
I concorrenti dei reality show del resto, nel loro essere volgarmente trash, ci hanno abituati tutti allo stesso messaggio: “Io dico quello che penso”.
È come se la comunicazione violenta sia scritta nel terreno della verità, mentre la comunicazione gentile racconti una falsità.
Il paradosso è che, dai reality show al mondo dei social, dal punto di vista degli adulti si confonde la brutalità con verità e la gentilezza con la falsità.
Questa secondo me è una delle imposture del nostro tempo.
L’occasione del mondo liquido è che anche noi adulti dobbiamo investire sulla nostra educazione, sulla nostra crescita.
Il mio consiglio ai genitori è di leggere di più.
Se voi genitori non prendete in mano un libro come fanno i ragazzi ad innamorarsi della lettura?
Nell’educare alla cittadinanza digitale abbiamo visto essere essenziale il coltivare la mente critica e i cuori intelligenti, anche nei più piccoli vista la loro precoce presenza online. Come possiamo educarli ai rischi dell’online (quali le challenge, il grooming, il revenge porn) evitando proibizionismi inutili?
Ancora una volta secondo me la chiave sono le storie.
Ad esempio, se dovessi spiegare il rischio delle challenge pericolose potrei raccontare la famosa storia della rana bollita del filosofo Noam Chomsky.
In un mio libro in realtà l’ho un po’ modificata.
C’è questa rana nello stagno che vede il pentolone e ne è attirata.

Ne è attirata per la popolarità perché il suo pensiero è “Andrò nel pentolone e farò invidia a tutti quelli dello stagno”.
Questa rana inizialmente sente qualcosa allo stomaco: la paura allarme per un istante prova a comunicare con lei.
Ma la rana confonde la saggezza col coraggio e, volendo essere coraggiosa, cade nella trappola della popolarità.
Entra nel famoso pentolone, comincia a farsi dei selfie e, quando l’acqua sarà troppo calda, la paura allarme urlerà di più.
Purtroppo sarà troppo tardi: la rana non ha più le risorse per uscire e finirà bollita in pentola.
Come vedi le metafore hanno la dolcezza di parlare anche con i più piccoli e offre l’opportunità di affrontare argomenti importanti, come in questo caso della differenza tra la paura stimolo e la paura allarme e della trappola della popolarità.
Non con dei monologhi bensì applicando l’educazione socratica ovvero aprendo il confronto e utilizzando domande aperte (Perché questa rana era così interessata alla popolarità? Cosa significa per voi essere popolari? Cosa siete disposti a fare per essere popolari?)
Credo che su questo, come sugli altri fenomeni online seri come quelli da te citati (es grooming e revenge porn), il problema sia che nell’educazione affettiva le parole peggiori sono le parole mancanti.
Bisognerebbe fare educazione affettiva mentre spesso nelle scuole l’educazione, quando c’è, è affidata a un esperto di educazione sessuale, altrettanto importante ma amputata dell’affettività.
La ragazza che cade nel sexting, che poi viene umiliata, diventa autolesionista e non esce di casa, è una ragazza che ha ceduto per ragioni affettive.
La ricerca infatti ci indica che il sexting colpisce maggiormente le ragazze con poca autostima: se io non mi sento riconosciuta come singolarità, il mio desiderio è che la foto di un pezzo del mio corpo ottenga quel like simbolico che la mia persona non riesce ad avere.
Internet, a fronte di tante risorse, ha accelerato tutti questi possibili precipizi e, secondo me, ha scoperchiato il fatto che oggi, in questo mondo liquido, serve un’educazione affettiva, un’educazione ai cuori intelligenti più profonda.
Ed una buona via, probabilmente non l’unica, è farla attorno delle storie per riflettere.
Tutto questo si concretizza in quello che è il Metodo della Didattica cooperativa® di Stefano, che ha formato oltre400 scuole e più di 50 mila insegnanti su tutto il territorio nazionale. Ma per questo vale la pena rimandare a un altro approfondimento.
Scheda editoriale
Titolo: “Menti critiche, cuori intelligenti”
Autore: Stefano Rossi
Casa editrice: Pearson
[Foto di copertina di proprietà esclusiva di Stefano Rossi]