Sia su Internet che sui social network spesso leggiamo titoli sensazionalistici e tendenzialmente ingannevoli accompagnati da immagini che possono shockarci, attrarci o indignarci.
L’aspetto emozionale gioca un ruolo chiave quindi gli argomenti spesso riguardano temi controversi che ci spingono a clickare velocemente per approfondire l’argomento.
Clickiamo e puntualmente atterriamo su un sito che rivela tutt’altro dal titolo e immagine che hanno catturato la nostra attenzione. Cosa è successo? Siamo caduti in trappola, in quello che è noto, appunto, come Clickbait (o clickbaiting, ovvero “esca da click” o “acchiappaclick”).
Lo scopo principale del clickbait è conquistare l’attenzione di chi legge e attrarre il maggior numero di utenti: l’utente ha clickato, ha aperto un sito, l’ha visitato aumentando il numero di visitatori di quella pagina.
Gli ingredienti per un clickbait di successo dunque sono:
- titolo shock o che incuriosisce, offrendo ai lettori solo un piccolo indizio sull’informazione presentata;
- foto o video con fermo immagine che sembra essere riferita al titolo (ma spesso non lo è) oppure suscita indignazione.
Se ci fermassimo a queste azioni, potremmo in effetti affermare che ogni post, di qualsiasi sito se ben strutturato e fatto con onestà, può puntare al clickbait.
Il problema nasce da ciò che succede appena atterriamo sul contenuto e sui siti che invece vogliono sfruttare il nostro click.
Siamo abituati a vederlo sfruttato soprattutto nelle strategie di marketing: aumentare le visite a un sito specifico genera notorietà, ma soprattutto rendite pubblicitarie.
Una pubblicità (il famoso banner) avrà maggiori probabilità di avere successo se presente in un sito caratterizzato da molte visite. Questo sito potrà dunque guadagnare maggiormente ospitando pubblicità.
Modi di utilizzo discutibili del clickbait
Ma ci sono altri modi, discutibili, per sfruttare questa tecnica.
Ci sono casi in cui la tecnica viene usata per mostrarci delle vere e proprie fake news, dove i nostri stessi commenti e le nostre condivisioni, effettuate senza alcuna verifica della veridicità della notizia (fact checking), ci rendono complici di una cattiva informazione. L’alto numero di interazioni, anche effettuate per dissentire, aumentano la visibilità della notizia.
Altri in cui si cerca di indurci a scaricare involontariamente software dannosi per la nostra privacy o il nostro device (ad esempio PC/tablet/smartphone).
Come avviene con altre tecniche di cybercrime in cui l’esca puó essere una email, un SMS, i Social Network, i servizi di Instant Messaging (come WhatsApp, Telegram e Messenger), finte PEC e Call Center.
In questi casi, quando apriamo un link, a prescindere dalla sua provenienza, appaiono schede e pagine inaspettate.
Sono pop-up (finestre automatiche), così invasivi da nascondere il contenuto che vorremmo vedere.
Ed eccoci impegnati a cercare di clickare e chiudere tutto ciò che ostacola la visualizzazione del contenuto che desideriamo leggere.
Oppure, ancor peggio, siamo invitati a clickare proprio su quei pop-up che a loro volta mostrano contenuti curiosi, a volte vincite straordinarie.
È attraverso queste azioni che scarichiamo contenuti o software senza accorgercene. Oppure sottoscriviamo abbonamenti o acquistiamo servizi a pagamento senza volerlo (ritrovandoci il credito residuo della SIM prosciugato o un addebito imprevisto sulla carta di credito) .
La parola d’ordine resta sempre “attenzione“: cerchiamo di approfondire le notizie, evitiamo post dove c’è troppo clamore, polemica, livore e non crediamo a vincite o promozioni imperdibili.