«Leggevo…che quella degli hikikomori, giovani giapponesi che si chiudono in una stanza e decidono di non uscirne più, è la patologia più insidiosa della multimedialità. Non la sola e non limitata a Tokyo e dintorni. La Rete, il computer, i videogiochi; il resto non esiste per questi nuovi reclusi sociali, la cui esistenza si annulla in uno scorrere insistente di immagini che comprime personalità fragili nell’involucro di avatar anonimi»
“Leggere è amare” F. De Bortoli, Corriere della Sera, 11 Novembre 2012
Questo è solo uno dei tanti articoli che cercano di analizzare il binomio hikikomori-dipendenza da Internet.
La parola ad un esperto
Ha tentato di far chiarezza lo psicologo Marco Crepaldi, il primo ad occuparsi in Italia del problema e presidente dell’associazione Hikikomori Italia:
«Per un hikikomori il computer è una valvola di sfogo. Incapace di portare avanti relazioni reali, si rifugia in quelle virtuali. Se gli si toglie il pc, non ricomincia a uscire di casa, ma si isola ancora di più… l’abuso di Internet rappresenta dunque una conseguenza e non una causa dell’isolamento. Infatti, anche se con il tempo un hikikomori dovesse diventare dipendente da internet, ciò non significherebbe che il suo isolamento sia originato da tale dipendenza»
Vero è che l’uso di Internet, seppur non sembri essere tra le cause scatenanti del fenomeno, potrebbe aver contribuito a una sua più rapida diffusione.
Internet, via di fuga e ponte con il mondo allo stesso tempo.
Si stima che siano circa 100 mila i ragazzi “ritirati” in Italia. Quasi sempre di sesso maschile (88%), tra i 15 e i 20 anni, intelligenti ma introversi, che rimangono chiusi totalmente in casa dai 3 ai 10 anni (42%).
Proprio perché può manifestarsi in un momento in cui il ragazzo dovrebbe invece nascere socialmente è stato anche definito “suicidio sociale“.
Alla base dell’autoesclusione, l’incapacità di affrontare la competizione sociale, le continue pressioni di realizzazione sociale provenienti dalla famiglia e dalla società stessa.
Ritirarsi piano piano in quello che si reputa un rifugio sicuro in cui sentirsi a proprio agio (la propria casa o la propria camera da letto) sembra dunque la sola via di fuga.
Quando si è superato il limite?
In Giappone, per esempio, hanno stabilito che si dovrebbe parlare di hikikomori solamente se l’isolamento totale (che non preveda attività lavorative, scolastiche o amicali) perduri in modo continuativo per almeno 6 mesi.
In realtà si tratta di un fenomeno progressivo, che si manifesta per gradi, quindi un’attenta osservazione è indispensabile.
Come contrastare questa tendenza?
Stabilendo una nuova connessione con i ragazzi, basata sull’ascolto senza giudizio, cercando di capire quali sono i loro interessi (anche e soprattutto virtuali) con sincera partecipazione.