Lo abbiamo conosciuto con il suo ultimo libro “I supereroi dell’empatia: dalla pandemia alla cittadinanza“, dove cerca di aiutare i più piccoli a diventare non solo dei cittadini ma soprattutto a essere resilienti insieme.
Lui è Stefano Rossi, per i bimbi Doc Ste, lo slasher (come si definirà lui) che per raccontare che lavoro fa deve dire che è psicopedagogista /(slash) saggista /(slash) formatore /(slash) tante altre cose.
Conosciuto in ambito scolastico per il suo Metodo della Didattica cooperativa®, un “ecosistema pedagogico” che, traendo spunto dal cooperative learning, insegna a prendersi cura con empatia gli uni degli altri.
Questa recensione è particolare perché sarà proprio lui a raccontarci del suo libro.
E con gioia scopriremo un professionista che ama veramente il suo lavoro ma soprattutto ama i suoi ragazzi.
La tua mission è educare bambini e ragazzi affinché sappiano affrontare, per dirla con le parole del sociologo Zygmunt Bauman, un futuro liquido in cui “l’unica certezza è l’assenza di certezze”. Un mondo liquido in cui ci affanniamo tutti ma che ci vede rimanere nello stesso punto.
A tal fine identifichi necessario un lavoro congiunto di scuola e famiglia per educare degli esploratori coraggiosi (dal nome del libro). Come si concretizza questa sinergia?
Partiamo da una metafora abbastanza semplice però importante.
Se pensiamo ai nostri ragazzi come una piccola barca, ogni piccola barca ha fondamentalmente due remi.
Se immaginiamo che un remo è la scuola e l’altro remo è la famiglia la riflessione che io faccio, con insegnanti e genitori, è che se un remo va a un ritmo diverso, o paradossalmente va in un’altra direzione, il rischio per i ragazzi è essere una barca che gira su sé stessa.
Bauman ci ha regalato questa lente fantastica, seppur durissima, per leggere la contemporaneità.
Come pedagogista mi chiedo: se, come dice lui, il mondo è liquido, il futuro è diventato minaccia e abbiamo perso tutta una serie di elementi di stabilità, come equipaggiamo i bambini e i ragazzi di oggi, a casa e scuola, per questo mondo liquido?
Da qui gli esploratori coraggiosi ovvero giovani che, di fronte all’incertezza di questo tempo, non sono privi di ansia e difficoltà ma resistono e cercano di reagire alla condanna dell’essere quelli che io chiamo degli autostoppisti sfiduciati.
Nel mondo solido gli esseri umani erano passeggeri di un treno, che viaggia di stazione in stazione, e affrontavano la vita con quattro elementi di stabilità:
- la partenza nel mondo del lavoro era certa, solida;
- il percorso era lineare, era solido;
- c’era un unico mezzo di trasporto (il posto fisso di Checco Zalone per intenderci);
- l’identità professionale era scolpita nel granito.
Hanno affrontato tutta una serie di sfide ma dalla posizione antropologica più sicura del passeggero.
I nostri ragazzi invece rischiano di essere degli autostoppisti sfiduciati la cui condizione è quella dell’incertezza.
Quegli elementi di solidità che abbiamo visto nel passeggero non ci sono più: la partenza è liquida, non ho certezza, non c’è più un posto fisso, non c’è più unico mezzo di trasporto e l’identità diventa liquida.
Ed i ragazzi si ritrovano così ad essere degli slasher ovvero obbligati a descrivere il proprio lavoro in un continuo x /(slash) y /(slash) z. Per un certo numero di mesi, poi vediamo.
Se questo è un po’ lo stato delle cose, e lamentarsi non è una filosofia in cui credo, la domanda della resilienza è: cosa possiamo fare?
La mia risposta è: crescere degli esploratori coraggiosi.
In ambito scolastico coltivando le 5 intelligenze:
- intelligenza creativa: perché l’esploratore coraggioso deve essere proattivo, deve trovare nuove soluzioni a nuovi problemi;
- intelligenza curiosa: se non leggi, se non ami il sapere non potrai creare dal nulla idee creative;
- intelligenza critica: devi ragionare (soprattutto oggi che abbiamo negazionismi, post verità, bolle ideologiche);
- intelligenza cooperativa: devi saper fare insieme perché pochi esploratori sanno affrontare il mare o l’oceano da soli;
- intelligenza empatica: quell’empatia su cui fondare una cittadinanza che non solo segue le regole ma è emotivamente intelligente.
Contestualmente a casa i genitori, a loro volta, dovranno andare nella stessa direzione e, come propongo in questo testo, avvalersi di una sorta di bussola dell’autorevolezza.
Oggi la difficoltà del genitore non è tanto come educare il figlio ma a cosa educarlo se il cielo sopra le nostre teste è vuoto.
Perché la società liquida è anche la società dal cielo vuoto: quei valori solidi, stabili, che davano ordine anche ai progetti educativi del passato, oggi si sono smarriti.
Il rischio che vedo nei genitori di oggi, spesso disorientati, è quello di educare i figli a quella che io chiamo la religione della felicità
“Io desidero che tu sia felice…a qualsiasi costo”
Il cui rovescio della medaglia è quello di crescere dei bambini e dei ragazzi nel segno di una libertà senza responsabilità.
Il genitore della felicità non riesce a dare dei no ai figli perché desidera che siano sempre felici.
Senza pensare che in realtà le giuste regole sono un dono d’amore.
Come sappiamo tutti abbiamo due cervelli, uno cognitivo e un emotivo. Quando diamo al figlio, in base all’età, la giusta regola stiamo allenando il cervello cognitivo.
Immagina questo cervello come il cocchiere di una carrozza: gli stiamo dando la forza di imparare a educare i cavalli che tirano la carrozza (il cervello emotivo).
Attenzione però: per mia esperienza, le giuste regole funzionano solo in un contesto d’amore.
Altri pedagogisti e miei colleghi propongono un’idea di regola senza affettività, invocando il codice paterno e autoritario.
Per mia esperienza, avendo lavorato per 15 anni anche con ragazzi messi alla prova penale e violenti, posso dire che questi ragazzi mi ascoltavano perché io li amavo, non per lavoro ma in quanto esseri umani.
Il ragazzo deve sentire la casa come un luogo caldo dove sentire un amore incondizionato. Al cui interno il genitore autorevole sa ascoltare ma sa anche dare le giuste regole.
Il problema è che i genitori di oggi, e con questo non li si colpevolizza ma si ragiona con loro, oscillano tra:
- il genitore sceriffo: che dà troppe regole, un custode della legge in eterno conflitto col figlio all’interno di una casa che spesso è un luogo freddo;
- il genitore iper-permissivo, il genitore amico: un custode della felicità.
In questo libro dettaglio questa sorta di bussola dell’autorevolezza che immagino formata da due assi:
- il primo asse è l’asse caldo dell’empatia, formato da due poli: l’ascolto, sapersi sedere accanto ai ragazzi e ascoltarli, e il tempo di empatia che non è un tempo casuale bensì un tempo profondo;
- il secondo asse è l’asse della forza, non inteso chiaramente come violenza, formato sempre da due poli: la capacità di far rispettare alcune regole e l’allenamento della resilienza.
Spunto per poi approfondire se diventare un genitore allenatore piuttosto che un genitore Superman (cioè un genitore sostitutivo).
Questo mondo liquido è fatto anche di vita online (come non ricordare il talk di Bauman, a Milano al Meet the Media Guru, intitolato “La vita tra reale e virtuale”, da cui poi è stato tratto il libro). Quali consigli educativi possiamo dare a quei genitori e insegnanti che si trovano con bambini e ragazzi che esplorano il mondo digitale, spesso in modo inconsapevole, trovandosi continuamente catturati dallo schermo?
Il genitore secondo me non deve avere, rispetto al mondo digitale, quella che io chiamo la sindrome di Dedalo.
Tutti sappiamo il famoso mito di Icaro e Dedalo.
Dedalo è un padre intelligente, un padre ingegnere per l’epoca, un padre creativo. Che viene rinchiuso da Minosse in cima a una torre con il figlio, Icaro.
L’unico modo che hanno per salvarsi è che Dedalo costruisca delle ali, con della cera e altri strumenti che trova a disposizione, per solcare il cielo e portare in salvo sé stesso e il figlio.
Dedalo prima di spiccare il volo consiglia al figlio di non volare troppo in alto, altrimenti le ali si scioglieranno a contatto col sole, ma nemmeno troppo in basso, altrimenti le ali si inzupperanno d’acqua e Icaro precipiterà nelle acque.
L’errore di Dedalo mi fa venire in mente due cose.
La prima è che il genitore, rispetto all’uso degli strumenti digitali, soprattutto per bambini e ragazzi molto giovani, si limita al consiglio.
In realtà Dedalo dà un buon consiglio al figlio, il consiglio della giusta misura.
Come quello che fanno i genitori quando regalano lo smartphone (mi raccomando, stai attento, non andare in certi siti etc).
L’errore è che le ali del figlio sono inevitabilmente attirate dal sole quindi, nonostante i consigli, Icaro si avvicinerà al sole, le ali si scioglieranno e il povero Dedalo assisterà alla morte del figlio.
Quindi prima riflessione: i consigli sono importanti ma non bastano.
Che cosa avrebbe dovuto fare Dedalo? Dedalo avrebbe dovuto innanzitutto tutto non sentirsi con le spalle al muro.
Il secondo errore, infatti, rispetto al tema dello smartphone, è che i genitori si sentono imprigionati, spalle al muro come Dedalo (ce l’hanno tutti, non posso non comprarglielo, i suoi amici ce l’hanno).
La mia tesi non è una tesi luddista, non dobbiamo negare lo smartphone ai ragazzi.
Però dobbiamo selezionare per età.
Questo perché la ricerca scientifica ci dice che i bambini molto piccoli hanno un cervello molto plastico e l’uso di tutta questa serie di strumenti digitali, in fase di età molto precoce, ha un impatto importante non solo sulle capacità di attenzione e sulle aree legate al linguaggio.
Normalmente ai genitori della scuola primaria consiglio dunque di regalare un cellulare e non smartphone, due strumenti ben diversi.
Anche in questo caso servono dei consigli, da parte del genitore al figlio, e servono delle buone regole proporzionate con l’età.
Poi mano a mano che i ragazzi diventano più grandi, nelle scuole secondarie suggerisco di coltivare quelle che ho definito menti critiche e cuori intelligenti, concetti che ho dettagliato nel mio libro omonimo.
Mente critica vuol dire che dobbiamo educare i ragazzi non con le prediche ma con le domande. È il vecchio insegnamento di Socrate.
Il consiglio che fornisco ai genitori è quello di ragionare con i ragazzi sui fatti di attualità, insegnandogli a pensare con la loro testa.
Le domande sono importanti perché anziché chiudere aprono il pensiero.
Siccome noi genitori non possiamo essere sempre presenti, soprattutto nella vita digitale, la prima coordinata è quella di educare al pensiero.
La seconda coordinata è educare il cuore intelligente.
Purtroppo il grande tema del digitale finisce a volte per confonderci perché a volte proponiamo un’educazione digitale che non prevede l’educazione emotiva. MI viene in mente il tema della paura, della rabbia, del coraggio, della prudenza, della saggezza etc
Tutti temi emotivi che affronto nel mio testo “Menti critiche, cuori intelligenti”, composto da 40 storie con domande per riflettere con i ragazzi.
Venti storie trattano proprio i temi del cuore, le virtù del cuore: la resilienza, la grinta, il desiderio, l’empatia etc.
Altre venti sono rivolte alla mente critica: il bullismo, il male banale, i meccanismi del conformismo, l’agenda 2030 etc.
Qual è la forza delle storie?
Se il mondo è diventato liquido, se i nostri esploratori sono un po’ disorientati, a me piace pensare che le metafore ci mostrano i fili invisibili che tengono insieme le cose.
Tramite la metafora che c’è in una storia io posso dare ad esempio una piccola lente per capire la differenza tra una paura stimolo, che mi esorta al coraggio, e una paura allarme, che mi protegge e non mi fa fare una sciocchezza.
Sempre però in un’ottica socratica quindi racconto la storia e poi ne discutiamo insieme.
In tutto questo secondo me il gesto del genitore che più racchiude la mia pedagogia è il gesto del sedersi accanto.
I nostri ragazzi hanno si bisogno di un po’ di tempo ma di un tempo di qualità. Dove fargli sentire che il tempo che abbiamo con loro lo vogliamo trascorrere veramente con loro.
Sedersi accanto non vuol dire stare in piedi e fare la predica. Io mi siedo accanto a te e ti chiedo come stai, cosa pensi, cosa stai combinando nella tua vita per poi ragionarci insieme.
Quando un adulto si siede accanto fa sentire tre cose:
- Credo in te;
- Tengo a te;
- Ci sono e ci sarò per te.
Questo secondo me è il vero dono che i genitori dovrebbero fare ai propri figli.
Quindi c’è una giusta età per lo smartphone ma i consigli sono:
- evitare di fare solo prediche, come ha fatto Dedalo;
- presidiare anche l’uso degli strumenti digitali;
- sedersi accanto ai ragazzi per crescere menti critiche e cuori intelligenti.
Con questo non mi limito al concetto di empatia. Preferisco infatti parlare di etica dell’empatia dal momento che l’empatia si inceppa.
L’empatia è un po’ come la compassione: può scattare o può non scattare.
Soprattutto, come ci ha spiegato bene il filosofo Günther Anders, l’empatia di fronte allo smisurato si inceppa: muore una persona che conosco, sono costernato; però se muoiono, oggi, per il Covid-19 530 persone anziché 490 la mia sensibilità non riesco a leggere questa diversità.
Come se l’empatia reagisse al volto ma non al numero.
Allo stesso modo se viene a mancare il vicino di casa o un parente sono distrutto mentre se viene a mancare un bambino dall’altra parte del mondo la lontananza mi rende non empatico.
Per questo preferisco parlare di etica dell’empatia: coltivare nei bambini e ragazzi il contrario dell’indifferenza ovvero l’attitudine a non rimanere indifferenti alle sofferenze che ci circondano.
Per non rimanere indifferenti serve la mente critica, perché la mente critica fa riflettere e interrogare su che cos’è la giustizia e il bene, ma questa da sola non basta.
Qua c’è un bellissimo riferimento di Miguel Benasayag che ha detto giustamente che uno dei drammi del nazismo è stato essersi resi conto che pensare bene non è garanzia di pensare il bene.
Basti pensare alla Germania che, pur avendo visto nascere i più grandi pensatori del 900, come Martin Heidegger, è la stessa che ha votato Hitler. Lo stesso Heidegger è scivolato sul nazismo.
La mente critica è importante ma è necessario lavorare simultaneamente su un cuore intelligente, un cuore che comprende le proprie emozioni e che non rimane indifferente, un cuore pronto a offrire riparo all’altro se lo vede in difficoltà.
Se a scuola, come a casa, riuscissimo a portare avanti un’educazione che tenga insieme mente critica e cuore intelligente riusciremmo poi anche a prevenire l’imprevedibile, come è il mondo digitale che vede la nascita di nuovi fenomeni ogni giorno.
Un argomento molto ampio che richiede un ulteriore approfondimento con un altro articolo dedicato!
Scheda editoriale
Titolo: “Educare esploratori coraggiosi”
Autore: Stefano Rossi
Casa editrice: Pearson