Il fenomeno dei baby influencer torna a far parlare di sé in queste settimane in cui ad essere sotto i riflettori è il rapporto tra Social e bambini.
Tutti si interrogano sull’uso precoce degli smartphone e il libero accesso ai Social da parte dei bambini.
Quei Social dove la verifica dell’età (age verification) si basa su un’autodichiarazione che, ove mendace, consente loro di iscriversi.
Anche se non sarebbe consentito e spesso senza che i genitori ne siano consapevoli.
Se in passato dunque a destare preoccupazione erano i concorsi di bellezza per bambine e l’esposizione in televisione o nel cinema di bambini prodigio, oggi il problema si complica: è sufficiente uno smartphone per esibirsi e sfilare ed essere visti potenzialmente da milioni di persone.
A muovere questi bambini lo stesso obiettivo: diventare popolari, ottenere il successo.
Grazie all’intraprendenza dei loro genitori che, con pazienza e dedizione, spinti perlopiù dall’appagamento personale, sanno fare dei loro figli un vero e proprio business.
Un business che di certo è ben remunerativo visto che proprio i bambini, con la loro tenerezza e spontaneità, rappresentano i migliori marketing influencer.
Ben pagati dalle piattaforme Social che vedono in loro il miglior modo per coinvolgere quel pubblico di giovanissimi che vogliono essere guidati da coloro che appartengono alla loro stessa generazione.
Sia nel campo della moda che in altri settori quali il mondo dei giocattoli, videogame e food.
Cosa è certo che genitori e piattaforme non prestano la dovuta attenzione a quei pericoli a cui questi bambini sono costantemente esposti: dalle challenge al cyberbullismo, dalle chat degli orrori, con immagini porno e violente, all’adescamento da parte dei pedofili.
Ad essere in discussione però non sono solo il loro benessere e la loro sicurezza, che dovrebbero essere imprescindibili, ma anche la loro tutela dallo sfruttamento, visto che di lavoro minorile si tratta.
La baby influencer Benny G
È in questo contesto che a far clamore è la baby influencer pugliese Benedetta, in arte Benny G.
Ogni suo contenuto online, immagine o video che sia, rappresenta un successo da milioni e milioni di visualizzazioni.
Come il duetto con Daniele Marino, Io ti voglio con me, che ha raccolto più di venti milioni di visualizzazioni.
A far discutere non sono solo i testi delle sue canzoni, perlopiù storie d’amore da adulti con riferimenti espliciti alla sessualità, ma anche i suoi ammiccamenti, i suoi balli sensuali, i twerk (a cui ci ha abituati Elettra Lamborghini), l’abbigliamento da donna adulta e un trucco ritenuto troppo pesante.
Del resto è sufficiente fare una ricerca su Instagram, TikTok, Facebook e YouTube di hashtag quali #babymodel, #babygirl, #babyboy, #babiesofinstagram o #babyfashion.
Ci potremo rendere conto che il caso di Benny G è solo uno dei tanti e che il fenomeno dei baby influencer è ben più grande di quello che si possa pensare.
Il ruolo dei genitori
La giornalista Selvaggia Lucarelli ha intervistato la mamma di Benny G, nel programma Le Mattine su Radio Capital.
La donna ha sostenuto che è la figlia che vuole apparire in questo modo, che le piace cantare e che questo la rende felice.
Precisando infine che non è la bambina a gestire da sola i suoi canali Social, ma è lei stessa a farlo.
Una manager pronta a incoraggiarla e spronarla.
Ma non altrettanto pronta a proteggerla da un’esposizione digitale che, secondo gli esperti, potrebbe produrre effetti psicologici devastanti.
Un benessere psico-fisico che passa in secondo piano, come pure il diritto ad un’infanzia.
«Io più che gioia parlerei di una sorta di malsano narcisismo. Perché ci riferiamo a genitori che proiettano sui figli le aspirazioni che loro stessi non sono riusciti ad inseguire in maniera realistica. Poiché non riescono a guadagnarsi il centro della scena in maniera diretta, intercettano le luci della ribalta, guadagnandosi il successo dei propri figli. Il più delle volte -figlie- che riescono ad ottenere dei comportamenti fortemente sessualizzati in un’età come quella addirittura preadolescenziale. In cui quel tipo di atteggiamento dovrebbe essere fortemente disincentivato dai genitori e non invece sollecitato come strumento per tendere all’attenzione altrui.
Si parla di ricerca di visibilità che non si risparmia a nessuno. Siamo andati ben oltre quello che una volta Andy Warhol indicava come “celebrità a tempo”. Ora viviamo tutti in una sorta di grande palcoscenico virtuale e una larga parte di persone è impegnata a rappresentare una vita che è lontanissima da quella reale all’interno di piattaforme. Tutto questo avrà assolutamente un’influenza pessima sui giovani e si avranno ripercussioni terribili. Soprattutto sul piano psicologico. Non ultimo il fatto che il soggetto possa piombare in un quadro depressivo e che arrivi a danneggiare gli aspetti più concreti nella sua vita»
Dott.ssa Roberta Bruzzone, criminologa investigativa e psicologa forense
I minori online e il quadro normativo
Prima di voler far diventare il proprio figlio un baby influencer è bene affidarsi a un legale per sapere cosa è opportuno o meno fare da un punto di vista legislativo.
In America
Le autorità americane sono state senz’altro le prime a muoversi concretamente per normare la presenza dei minori online e l’utilizzo dei loro dati.
In passato con la pesante sanzione comminata a Youtube (170 milioni di dollari), che da gennaio 2020 ha cambiato modalità di raccolta e utilizzo dei dati per i contenuti destinati ai bambini.
In tempi più recenti attaccando altre popolari piattaforme come TikTok (5,7 milioni di dollari).
La legislazione violata è il Children’s Online Privacy Protection Act, nota con la sigla COPPA.
Una legge federale degli Stati Uniti progettata per limitare la raccolta e l’utilizzo di informazioni personali dei minori da parte dei provider di quei servizi Internet e siti web:
- rivolti specificatamente ai minori di 13 anni che raccolgono informazioni personali che li riguardano;
- diretti a un pubblico generico, ma che è indubbio che stanno raccogliendo informazioni personali anche di minori di 13 anni;
- che raccolgono informazioni personali dagli utenti di un altro sito Web o servizio online diretto a minori di 13 anni, attraverso ad esempio una rete pubblicitaria o un plug-in.
Indicazioni precise a cui attenersi (pena sanzione) per la protezione della commercializzazione delle immagini dei minori sotto ai 13 anni di età tra cui:
- pubblicare nelle homepage l’informativa sulla privacy espressa in modo chiaro, semplice ed esaustivo (in una forma che sia comprensibile anche ai bambini);
- fornire ai genitori le informazioni sulle politiche di trattamento dei dati dei figli e ottenere il loro consenso verificabile prima di raccogliere i dati dei bambini;
- dare seguito alle eventuali richieste dei genitori in virtù dei diritti riconosciuti loro dalla norma;
- implementare procedure efficaci per proteggere la sicurezza delle informazioni personali dei bambini in loro possesso.

In Europa
In Europa l’attenzione verso il trattamento dei dati dei minori rappresenta una delle novità più importanti contenute nel General Data Protection Regulation (GDPR).
Questo prevede che i ragazzi sotto i 16 anni possano iscriversi ai servizi digitali solo dopo aver avuto il consenso dei genitori.
Lasciando, tuttavia, la facoltà ad ogni Stato membro di stabilire una soglia inferiore che nel caso dell’Italia è stato fissato a 14 anni (con il D.Lgs. 101/18).
Onere dei provider di servizi online:
- verificare che il consenso sia stato effettivamente espresso dai genitori o da chi esercita la responsabilità;
- proteggere il minore rispetto all’attività di profilazione per finalità di marketing (vietata).
La Francia e la legge contro lo sfruttamento dei baby influencer
A regolamentare il lavoro in rete dei baby influencer ci ha pensato qualche mese fa la Francia con una legge, equiparandolo alla disciplina in materia di lavoro minorile (al pari di quello dei baby attori e delle baby celebrities del mondo dello spettacolo).
Si chiama Sfruttamento dell’immagine dei bambini sulle piattaforme online, prevede sanzioni in caso di violazione e:
- obbliga i genitori a versare tutti i guadagni dei loro figli influencer (a volte anche milioni di euro) su un conto bloccato unicamente intestato a loro, a cui avranno poi accesso raggiunti i 16 anni di età;
- introduce la possibilità del diritto all’oblio, cioè la rimozione di tutti i contenuti dai Social se espressamente richiesto dal bambino;
- impone la definizione di un orario di lavoro inquadrato in base all’età (con esplicita indicazione del tempo che il minore dedica alla realizzazione dei video e il reddito che ne deriva).
- richiede alle piattaforme coinvolte, soprattutto quelle video, che veicolino maggiore informazione sulla legislazione in vigore, per meglio combattere lo sfruttamento a fini commerciali dell’immagine dei minori ed evitare contenuti che vadano a ledere la loro dignità o integrità fisica.
Nel frattempo che le autorità cercano di normare in modo meno frammentato il fenomeno, dovremmo rallentare e porci alcune domande.
Dove è il limite tra amore e sfruttamento, il confine tra l’innocente svago infantile e il lavoro imposto dai genitori?
Non siamo di fronte alla precoce sessualizzazione delle ragazzine che si mostrano con pose e mosse che derivano da imitazione degli adulti?
Certi atteggiamenti non risultano compiacenti verso gli istinti dei pedofili?
A ciascuno le sue risposte.